«Attenzione, in onda!». Il mio
viso sbucò sui piccoli schermi del “Grande Salento” in piena pausa pranzo. Il
termometro segnava 35 gradi. La regia era bollente. Tasso di umidità: 80%. Il
duello tra il climatizzatore e le luci dello studio fu all’ultimo sangue. Vinse
la potenza dei fari puntati sul mio mezzobusto.
«Buongiorno, gentili
telespettatori. Apriamo il telegiornale con una notizia di cronaca…»
L’esordio live da anchor-woman
arrivò dopo una serie di tg registrati nel mese di luglio, bypassati dal
giudizio del direttore e dai consigli dei telespettatori (una platea variegata
composta da colleghi, famigliari, amici e vicini di casa): braccia meno rigide
- ombretto meno carico - sorridi di più - sei troppo seria. «Perbacco, Aldo
Grasso sarebbe stato meno critico!».
Tuttavia superai l’esame. «Sarai
il nuovo volto di Telesette» si complimentò il mio capo. D’altronde qualcuno
avrebbe dovuto sostituire la collega in maternità. Quel qualcuno ero io.
Trascorsi l’estate conducendo telegiornali nella redazione di Brindisi,
soffocata dall’obbligo della giacca, ritenuta obsoleta persino in Rai. Sotto il
bancone, gonna di lino e sandali.
Di lì a poco avrei avuto
un’ulteriore possibilità, camuffata da promozione. «Il Presidente ti vuole al
tg delle 23» annunciò solennemente la segretaria. Vale a dire tg
interprovinciale, che racchiude le principali notizie di Lecce, Brindisi e
Taranto, trasmesso dalla sede centrale, un moderno edificio costruito pochi
anni prima nel centro storico del capoluogo barocco.
Consultai frettolosamente
l’orologio: erano le 18 dell’ultimo sabato d’agosto. La data che sul calendario
coincide con il clou dei festeggiamenti dei Santi Giusto, Oronzo e Fortunato.
Otto volante e fuochi d’artificio. «A mezzanotte potrò raggiungere il resto
della ciurma» pensai. Accetto!
Il tranello si rivelò in tutta la
sua meschinità nelle ore successive. Il tg sarebbe andato in onda al termine di
una lunga diretta dedicata al bel canto. “Magliano
ti amo” (questo il titolo della kermesse lirica) determinò un fuso orario
di circa due ore sui miei programmi. Senza alcun preavviso. L’ansia cresceva
minuto dopo minuto, insieme alla rabbia scaturita dall’inganno. All’1.35 la
sigla mi accompagnò verso il primo telegiornale notturno, con picchi di auditel
che, considerato l’orario, la stagione, e lo spettacolo pirotecnico in onore dei
santi patroni, sfioravano il 5%.
«Con la conduzione del tg sei in
una botte di ferro» ripeteva Giulio, con aria rassicurante. Era il mio compagno
di sventure professionali, di andate e ritorni da Lecce a Brindisi. Telecamera
in spalla e spirito di servizio, mai sfociato però nel coraggio del reporter
d’assalto. Per questo si guadagnò l’appellativo di “Cuor di leone”, nella
fattispecie quando, pizzicato da un losco figuro durante le riprese della scena
del crimine, addossò la colpa alla giornalista che lo affiancava. «Che ci fai
qui? getta la telecamera» urlò l’incredibile
Hulk. «Ho solo eseguito i suoi ordini» replicò intimorito Giulio, puntando il
dito contro la collega mentre sgattaiolava in macchina pronto a fuggire dal
peggiore dei suoi incubi. Tornarono in redazione intatti, senza nemmeno un
graffio. «Mai più, mai più, io sono un regista» cantilenava Giulio.
A differenza del temerario Commissario
Locisto, Cuor di Leone preferiva stare alla larga da situazioni pericolose e
potenzialmente dolorose. La sua vita era di per sé movimentata, a causa delle
vicissitudini amorose che lo portavano non di rado su curve insidiose. Nel
confessionale a quattro ruote, Giulio si confidava e chiedeva consigli. In
alcune occasioni riuscivo a confezionare risposte sensate, rapite dal vento, altre
volte rimanevo in silenzio mentre si sfogava con lunghi assoli esistenziali. “Giuliò, c’est la vie” chiosavo in
francese, prima di esplodere in una fragorosa risata.
Il francese e il dialetto
salentino servivano ad ammazzare i tempi morti imposti dai tragitti lavorativi
e ad esorcizzare i malesseri interiori. I dialoghi improvvisati en français si alternavano alle canzoni
di Biagio Antonacci reintepretate in vernacolo. Strategie di sopravvivenza, che
hanno cementato una sincera amicizia.
Il mondo della televisione è
popolato da singolari personaggi. E’ come vivere nei panni di Alice nel Paese
delle Meraviglie. Il Bianconiglio, nel mio universo mediatico, era
rappresentato da “Lepre”, l’operatore televisivo più “rapido” del mondo. Calma
e lentezza le sue doti principali, insieme al senso di protezione che solo un
buon padre riesce a trasmettere. Piansi il giorno in cui andò via. Per lui si
chiusero le porte della televisione e si aprirono quelle dell’azienda di
famiglia. Più grate e sicure.
Piansi poche ore prima, il giorno in cui il “Buon
Manina” ci lasciò per sempre, una notte di settembre, dopo un tragico incidente
stradale.
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